L’ULTIMO CORDAIO
San Fruttuoso di Camogli
In tutte le città marinare del nostro Paese, così come in tanti piccoli borghi antichi che si affacciano sul mare, ci sono vicoli, strade, quartieri dedicati ai cordai. Sono le tracce di una millenaria attività legata alla pesca in tutte le sue forme, alla cantieristica e quindi alla navigazione.
La canapa coltivata un tempo nella Pianura Padana, approdava nel grande porto di Genova e non solo, per essere trasformata in sagole, gomene e grossi cavi d’ormeggio per le navi in transito. Oggi l’antico artigiano-CORDAIO si é fatto industriale.
Di quel vecchio canapo che s’impregnava di mare e triplicava il suo peso, rimangono alcuni reperti soltanto nei musei marinari. Le tappe successive ci parlano di cavi sintetici colorati, e cavi misti che sono solitamente costituiti da fibre vegetali e fibre sintetiche o da fibre vegetali e fili d’acciaio che, opportunamente intrecciati fra loro, formano un complesso caratterizzato da notevoli doti di resistenza, elasticità e maneggevolezza molto tenaci fin nei piccoli calibri, per arrivare all’ultimo tipo: il DYNEEMA, quasi senza peso e con un carico di rottura simile a quello dell’acciaio.
Il mondo corre veloce e ogni giorno si scrolla di dosso antichi mestieri, tanti artigiani insieme ai loro attrezzi dai nomi dialettali impronunciabili.
Patrimoni ormai in disarmo di cultura locale che vengono salvati ogni giorno in umide cantine interrate che, simili a ospiti inutili ed indesiderati, ringraziano e tolgono il disturbo…
Chi resta é conscio di tradire la propria storia e si consola dicendo: “Guai a chi me li tocca!!!”
Molti sono quelli che rinunciano a questa sfida impari contro la modernità, altri invece non mollano “o mestê” imparato con tanto sudore e gran sacrificio fino a considerarlo un patrimonio familiare da tramandare ai giovani.
“Sarebbe come tradire la mia famiglia che mi ha insegnato prima a parlare e poi a tenere in mano questi antichi attrezzi che ci hanno dato da mangiare per secoli”.
Questa lucida fierezza la vediamo scolpita sul viso bruciato dal sole di Marietto Scevola, l’ultimo cordaio nativo e residente a San Fruttuoso di Capodimonte (Camogli) che ci spiega:
“Le corde oggi sono realizzate con fibra di cocco ed altro materiale molto più moderno, ma un tempo mio padre e, prima ancora mio nonno, le producevano con una lavorazione più lunga e complessa, con la lisca, erba spontanea del monte di Portofino che veniva raccolta dai contadini e portata a San Fruttuoso proprio per la produzione di corde.
Un tempo trasportavamo con i gozzi le corde finite a Camogli, dove le cooperative di pescatori, dopo averle srotolate sul molo, intrecciano le reti da pesca”.
Ci parli un po’ della LISCA.
La lisca é un’erba diffusa sul Promontorio di Portofino. Si presenta in cespugli molto densi. Ha foglie lunghe circa un metro. Fornisce un materiale fibroso ricavato dalle foglie che serve per fare cordami, legacci, stuoie o tessuti grossolani. Oggi la lisca é considerata specie protetta, quindi non più utilizzabile.
Oggi le antiche corde in fibra vegetale sono sostituite da quelle sintetiche, più facili da realizzare ma di simile resistenza; così il mestiere del cordaio tradizionale o cordaiolo è scomparso, mentre sino a metà del ‘900 era un lavoro svolto in quasi tutti i borghi del levante. Delle tante corderie industriali ne rimane invece solo una a Rossiglione, nell’entroterra di Genova.
“I cordaioli erano attivi a Camogli, S. Margherita Ligure, Rapallo, Chiavari, Lavagna e Sestri Levante, nonché in numerose frazioni dell’entroterra. A parte qualche cordaiolo della zona del Promontorio di Portofino che riusciva a sfruttare la lisca.
Fin dai tempi antichi, le corde di lisca erano fatte, come dicevo, dai miei avi-cordai, una specie vegetale di cui si sfruttavano le foglie lunghe e tenaci. Oggi la lisca sopravvive in ottima salute e in numerosi esemplari all’interno del Parco Regionale di Portofino”.
Quali prodotti si lavoravano con la lisca?
“Con essa si realizzavano corde molto resistenti alla salsedine, leggere, ma capaci di assorbire acqua e affondare, note un tempo come “cavi d’erba”. A S. Fruttuoso di Camogli, sino ai primi anni ’60 si producevano numerose corde di lisca. La richiesta di questi cordami proveniva essenzialmente da pescatori della Riviera Ligure di Levante. La lisca forniva una corda particolarmente morbida e maneggevole, impiegata dai pescatori a bordo dei gozzi per salpare il Tartanone o Ganglo. Con quest’attrezzo veniva effettuata un tipo di pesca a strascico con una sorta di sciabica recuperata da una barca adeguatamente ancorata. La rete veniva tirata a bordo e quindi le corde dovevano essere il più possibile morbide e maneggevoli per non stancare e rovinare le mani. La lisca si prestava bene a questo scopo e veniva usata inoltre per realizzare le reti della Tonnarella di Camogli. A S. Fruttuoso di Camogli tre famiglie erano impegnate contemporaneamente nell’attività di pesca e in quella di raccolta della LISCA, mentre un’altra famiglia si occupava della costruzione di cordami. Le vecchie attrezzature sino a qualche tempo fa venivano ancora utilizzate per la preparazione dei cavi della Tonnarella, lavorando la fibra di cocco proveniente dall’India. La lisca è infatti una specie tutelata in tutta l’area del Parco Regionale di Portofino.
ALBUM FOTOGRAFICO
Intreccio dei “Cavi” della Tonnara
Le grosse corde (dette cavi), da cui è costituita la Tonnarella di Camogli, vengono intrecciate ogni anno a San Fruttuoso di Capodimonte con particolari attrezzi.
Marietto Scevola ci mostra la PIGNA di legno che separa ordinatamente i quattro legnoli, pronti a diventare un’unica cima quando il FERRETTO, con la sua testina rotante inizierà a girare velocemente.
L’instancabile Franca Chiaschetti é l’addetta ai cavi.
MARE NOSTRUM RAPALLO RINGRAZIA SENTITAMENTE i responsabili del sito Camogli & Dintorni per averci concesso la pubblicazione delle fotografie apparse in questo articolo dedicato alle nostre tradizioni locali.
Carlo GATTI
Rapallo, 25 giugno 2016