L’ammutinamento della fregata
STOROZHEVOY
Ispirò il film ‘Caccia a Ottobre Rosso’
Il termine ammutinamento é comunemente usato nella storia navale come sinonimo di ribellione. Un saggio capitano lo inserisce nell’inventario di bordo e lo tiene continuamente sotto controllo come la bussola. L’ammutinamento é un fenomeno antico ma sempre attuale essendo un sentimento latente che nasce e convive con l’equipaggio, ed é sempre pronto ad esplodere proprio come certi virus. Il movente può essere di qualsiasi natura, ma oggi ci occuperemo del suo peculiare aspetto politico.
Tutti ricordano il film di grande successo Caccia a Ottobre Rosso, ma pochi, immagino, conoscono l’episodio che lo ha ispirato e che fu ben più drammatico della fiction che ebbe come protagonista Sean Connery nei panni del Comandante lituano Marko Ramius. Il film com’é noto, terminò con la consegna del gigantesco sottomarino atomico sovietico agli americani, e il suo Comandante concluse la propria esistenza nel Maine che aveva sempre sognato. Ben altra storia ebbe la STOROSHEVOY (Sentinella), la modernissima fregata URSS della classe Krivak (nomenclatura NATO) che apparteneva alla Flotta del Baltico, ed aveva un armamento innovativo molto temuto dagli americani. Nel romanzo di Tom Clancy, l’unico responsabile dell’ammutinamento era stato il Comandante dell’unità subacquea sovietica, nella realtà fu invece il Commissario Politico, il Capitano di Terza Classe Valery Mikhailovich Sablin che si trovava a bordo come Agente governativo russo, col compito di garantirne la lealtà. Occorre anche precisare che Sablin era un comunista duro e puro che non si sentiva idealmente allineato con la politica di Brezhnev, ritenendolo responsabile di corruzione e lontano dagli ideali del ‘primo’ socialismo. Il suo importante ruolo di rappresentante del Governo a bordo, gli permise di coinvolgere e trascinare oltre metà dell’equipaggio in un’avventura che, inizialmente, sembrava più folkloristica che rivoluzionaria, più ingenua e propagandistica che sovversiva.
Il piano di Sablin prevedeva il sequestro e la fuga della Fregata da Riga (Lituania) a Leningrado (l’attuale Sanpietroburgo), che si sarebbe conclusa con l’ormeggio dell’unità ammutinata al fianco del celebre incrociatore AURORA, oggi nave-museo, che fu il simbolo della Rivoluzione d’Ottobre. Un gesto emblematico che avrebbe indicato al popolo sovietico una ‘nuova rotta’: l’auspicato ritorno della nazione agli “ideali leninisti”. La parte finale della missione sarebbe stata ancora più esplicita. Sablin avrebbe diffuso via radio un pesante monito contro la ‘decadenza del comunismo’.
Rara immagine del Capitano di terza Classe Sablin, il leader dello sciagurato ammutinamento
Una fregata della classe «Krivak», alla quale anche lo STOROZHEVOY apparteneva.
L’episodio che oggi vi raccontiamo, rimase avvolto nel mistero per decenni e venne alla luce dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Nel novembre del 1975, in piena Guerra Fredda, Sablin aveva 36 anni e vantava un perfetto curriculum: Cadetto modello all’Istituto Navale di Leningrado, era già stato assegnato sia alla Flotta del Baltico che a quella del Mar Nero. Nel 1973 si diplomò presso l’Accademia di Politica Militare ‘Lenin’ da cui uscì con la nomina di Commissario Politico.
I drammatici avvenimenti presero avvio l’8 novembre del 1975 nel porto di Riga. Sablin ed il suo complice Alexander Shein riuscirono con uno stratagemma ad imprigionare il Comandante della nave Anatoly Putorny nel quadrato ufficiali. Riunì quindi tutto l’equipaggio e nel corso del solito comizio propagandistico, spiegò i motivi di quella iniziativa assicurando la partecipazione di altre unità della Marina. Non era vero, ma sperava che il bluff funzionasse. L’iniziativa ebbe successo. Soltanto sette ufficiali si dichiararono contrari e furono rinchiusi in un apposito locale lontano da quello del Comandante. Fu sottovalutato un giovane Guardiamarina che votò a favore, ma fuggì per avvisare le Autorità militari del tradimento in atto. Questa mossa scombussolò i piani di Sablin che si vide costretto ad anticipare alle ore 23 non solo la partenza dello Storozhevoy da Riga, ma anche il discorso che avrebbe dovuto pronunciare a Leningrado. Un altro imprevisto glielo procurò il marconista di bordo il quale, di propria iniziativa, diffuse il messaggio soltanto sulle frequenze riservate alla Marina e non su quelle civili. Le Autorità Sovietiche ebbero in questo modo la conferma dell’ammutinamento. Poco dopo Sablin dovette affrontare un problema di navigazione che non conosceva: il canale di Riga tra le isole Hiivmaa, Saaremaa e l’Estonia, non era navigabile nel suo tratto verso nord.
La cartina mostra il teatro della drammatica avventura della Fregata sovietica Storozhevoy. La linea rossa rappresenta la rotta della fregata.
Era quindi necessario mettere la prua sull’isola svedese di Gotland, continuare l’accostata a dritta verso Stoccolma, completare la curva per entrare nel Golfo di Finlandia e raggiungere Leningrado. La possibilità che la fregata raggiungesse la neutrale Svezia e che l’equipaggio chiedesse ‘asilo politico’ in massa, consegnando l’unità con tutti i suoi segreti militari di ultima generazione, diventò presto un incubo per il Cremlino, il quale manifestò immediatamente la volontà di scatenare una formidabile caccia per impedire che tutto ciò potesse accadere. Lo stesso Breznev, alle 04.15 della stessa mattina, inviò ben tredici navi da guerra e una decina di aerei (tra ricognitori e caccia bombardieri). Mancavano solo cinque ore alla nave ammutinata per raggiungere la Svezia. Sablin rischiò parecchio cercando di uscire a radar spento dai vari canali di Riga e lo fece per diminuire le probabilità di essere individuato. Ma quando si trovò in un banco di nebbia fu costretto ad accenderlo, e fu immediatamente localizzato da due aerei Ilyushin II-38 che fecero convergere tutte le unità aeree e navali disponibili sulla Storozhevoy. Iniziò da quel momento un fitto invio di messaggi e ordini di resa che non trovarono ascolto sulla fregata, neppure quando all’equipaggio fu promesso il perdono in cambio della consegna della nave e del suo Comandante.
L’escalation di moniti inascoltati fu seguita da minacciosi voli di Yak-28 e Tupolev Tu-16 (nella foto). Tra l’equipaggio affiorarono dubbi, paure e si divisero sull’andamento della missione e sugli esiti finali. La fuga della fregata sovietica entrò in una fase molto delicata perché alle 08 di mattina entrò, di fatto, in acque internazionali e gli ordini del Cremlino furono categorici: “Se la nave non si arrende, affondatela”. Ciò nonostante, i piloti dell’Aviazione del Baltico erano ancora restii a fare fuoco sull’unità. Questo ‘strano’ comportamento risultò dagli innumerevoli inviti di Sablin ai piloti militari per unirsi alla loro causa. Le Autorità militari della vicina Svezia erano in massima allerta, prima a causa dell’intenso traffico via radio, poi dall’avvicinarsi, a tutta forza verso le loro coste, di un’imponente flotta aereonavale. Gli svedesi, disponendo di sistemi SIGINT acquistati in gran segreto dagli americani, capirono tutto e subito, ma non poterono diramarlo al mondo. L’epilogo si stava ormai avvicinando a grande velocità. Una bomba da 500 libbre lanciata da un caccia Fencer danneggiò il timone della Fregata rallentandone la corsa. A bordo alcuni marinai liberarono il Comandante Putorny che armato di pistola salì in plancia e sparò a Sablin ad una gamba. I modernissimi caccia sovietici avevano già avuto l’ordine di armare i missili e colpire la nave nei successivi passaggi, ma Putorny riuscì a comunicare in tempo, via radio, d’aver ripreso il comando della nave. L’isola di Gotland era ormai a 30 miglia quando la Storozhevoy fu raggiunta dagli incursori della Fanteria di Marina che abbordarono la nave e disarmarono l’intero equipaggio.
L’Epilogo
L’equipaggio fu arrestato e sottoposto a pressanti interrogatori da parte del KGB. Tuttavia, soltanto Sablin ed altri 13 ammutinati furono rinchiusi nella prigione moscovita di Lefortovo. Le accuse erano molto gravi perché gli inquirenti sospettavano infiltrazioni straniere e diramazioni clandestine pericolose per il comunismo. Nel luglio del 1976 si riunì la Corte Marziale e dopo tre giorni di processo, Sablin fu condannato a morte per tradimento, mentre il suo fedele amico Shein fu condannato a molti anni di carcere. Dopo nemmeno un mese dalla sentenza, Sablin fu giustiziato con un colpo alla nuca per espressa volontà di Brezhnev.
Nel 1994 sia Sablin che Shein furono in parte riabilitati dal Collegio Militare della Corte Suprema che ravvisò eccesso di autorità e insubordinazione nel comportamento di Sablin. Soltanto in quella circostanza si venne a conoscenza dei fatti veri accaduti sulla Storozhevoy. I sovietici, infatti, stesero un impenetrabile velo di silenzio sull’intera vicenda per tutta la durata della Guerra Fredda, temendo che altri equipaggi potessero essere irretiti in altri ammutinamenti, defezioni o fughe verso i Paesi liberi-confinanti. Nonostante la parziale riabilitazione, nemmeno la famiglia fu mai informata della vera sepoltura di Sablin, la cui memoria può essere tuttora onorata presso un monumento dedicato ai prigionieri politici.
Alla fine degli anni Novanta la Storozhevoy fu radiata e venduta all’India per essere demolita.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.05.12