TAGAN
IL COLTELLO GENOVESE
Il coltello é, probabilmente, lo strumento più antico nella storia dell’uomo.
Il coltello (dal latino cultellus, diminutivo di culter (cioè coltello dell’aratro). La lama é stata utilizzata come utensile ed arma dall’età della pietra, all’alba dell’umanità. Gli antropologi ritengono che il coltello sia uno dei primi attrezzi progettati dagli esseri umani per sopravvivere.
Le prime lame erano di selce o di ossidiana, scheggiata o levigata ad un bordo, a volte dotate di un manico. Più tardi con gli sviluppi della fusione e della metallurgia le lame sono state sostituite prima dal rame, poi dal bronzo, dal ferro e infine dall’acciaio.
L’importanza dei coltelli come arma è un po’ oscurata dalla nascita di armi più efficienti e specializzate, ma una lama è in dotazione dei militari di qualsiasi esercito al mondo.
Dopo questa inevitabile premessa, si può tranquillamente affermare che ogni nazione al mondo abbia sviluppato nel tempo un proprio originale coltello che sopravvive nella tradizione popolare e nella propria storia.
Lo sapevate che il TAGAN fa parte della Storia di Genova?
A partire dal X secolo, a Genova si formò una
Scuola di Scherma Genovese
che prevedeva l’uso di armi tipiche come appunto il coltello genovese, la spada d’abbordaggio genovese e lo spadone genovese.
Questa é la versione moderna del TAGAN
TAGAN – Coltello genovese di lusso
Versione originale di un TAGAN ritrovato e restaurato
Fonti archivistiche riportano la presenza, fin dalla seconda metà del XII secolo, di un’arte dei coltellieri.
In latino l’arma veniva chiamata cultellus januensis. Coltelli di foggia simile si trovano anche in altre parti d’Italia e Corsica e nelle colonie genovesi d’oltremare, tanto così che spesso l’arma viene denominata coltello alla genovese o all’uso Genovese. Si tratta di un coltello che, oltre che essere stato utilizzato nelle varie attività della vita quotidiana dei genovesi, rappresentava anche un’arma di facile impiego e che spesso veniva utilizzata, purtroppo, in episodi delittuosi sia da persone comuni che da malavitosi. Proprio per questo il suo uso venne in varie occasioni limitato o proibito dalle autorità cittadine. Ad esempio il 9 settembre 1699 il Consiglio dei X della Serenissima Repubblica di Genova assunse uno specifico provvedimento per rinnovare la proibizione dell’uso di tale coltello nella zona del porto.
I genovesi dell’epoca cercarono di camuffare da utensile questo tipo di coltello, ad esempio facendolo passare da attrezzo per conciatori o sellai, in modo da eludere le leggi che vietavano la produzione nella Repubblica di “ferri taglienti”. Tale produzione, nonostante le limitazioni, era però diffusa e anche piuttosto apprezzata. Il coltello genovese è caratterizzato da un manico privo di “guardia” con la base marcatamente stondata (smussata, arrotondata).
La lama può essere di varie lunghezze ed è dritta, appuntita ed in genere a un filo e mezzo, ovvero affilata oltre che nella parte inferiore anche nella zona anteriore di quella superiore. Per realizzarne il manico a volte veniva utilizzato il legno di bosso.
Se volete saperne di più su quest’arma, vi segnaliamo la principale opera sull’argomento: A. Buti, “Il coltello genovese. Storie di lame, di armi proibite e di caruggi”, Genova 2011.
Orgoglioso senese della “contrada del Nicchio”, genovese d’adozione e collezionista da sempre, il professor Andrea Buti, già docente di tecnica delle costruzioni presso la facoltà di architettura, ha ricostruito attraverso la storia di un oggetto particolare, il coltello genovese, una parte inedita e misconosciuta della storia della Superba.
“Nel 1600 e nel 1700, ma già da prima, Genova fu al vertice della produzione e commercializzazione di armi da taglio proibite. I coltelli genovesi appunto, lame micidiali, simili a stiletti, furono messe al bando dal governo della Repubblica e da molti antichi Stati italiani. Vi fu un tempo in cui l’arte dei coltellieri, fondata a Genova nel 1262, annoverò fino a 329 iscritti. Esisteva in città il molo dei coltellieri in fondo a via S.Lorenzo, ma anche una ripa e una loggia dei coltellieri che pullulavano di botteghe in cui si affilavano le lame forgiate con l’acciaio delle ferriere dell’entroterra, a loro volta rifornite col ferro dell’Elba.
Si può ipotizzare che non ci fosse uomo del popolo o dell’aristocrazia genovese che non possedesse un tipico coltello a stiletto, infilato nei calzoni, o celato dentro un’altra arma a punta stondata e apparentemente inoffensiva, magari camuffato da attrezzo per cucire le vele. Il coltello genovese, fu la “spada del popolo”, l’arma dei sicari molto prima delle pistole. La statua della Vergine, posizionata per la prima volta nel 1654, era in bilico. Quando fu rimossa sotto due tonnellate di marmo furono ritrovati incastrati alcuni coltelli. Erano stati lasciati come atto votivo dalle maestranze del ‘600. Li consegnai al museo Diocesano. Ma è l’unico esempio, – si duole Buti- di coltelli genovesi musealizzati”.
Per il resto nulla, questa città continua a ignorare la storia di una sua antica e significativa industria manifatturiera. Lo ha fatto anche quando ho proposto a enti locali di patrocinare il mio volume che peraltro aveva già un editore. Niente, la città è fatta così.
Buti si riferisce a “Il Coltello genovese: Storia di lame, di armi proibite e di caruggi”, il volume di cui è autore, appena pubblicato dalla Casa d’aste San Giorgio (100 €), specializzata in armi antiche. Non un catalogo, ma un “mixage”, composto da 146 pagine di testo divulgativo, in cui vengono definite le caratteristiche tipiche del coltello genovese rispetto ad altre armi bianche, si ricostruisce la storia materiale dell’oggetto attraverso documenti, spesso inediti, degli Archivi di Stato di Genova e Savona e si rievocano celebri delitti del passato come gli omicidi del pittore Pellegro Piola e del compositore Alessandro Stradella.
Seguono 263 pagine di schede di esemplari di collezioni private o appartenenti a musei, non genovesi. Il volume è illustrato da foto e raffinati disegni. E’ in vendita alla casa d’aste a palazzo Boggiano-Gavotti in via S.Lorenzo.
Nella prefazione Vito Piergiovanni, professore di storia del diritto medievale e moderno alla facoltà di giurisprudenza, scrive:
“Sul pesto non avevamo dubbi, sui cantautori anche, ma che si potesse vantare una peculiarità anche negli oggetti da taglio, utensili ed armi volta a volta, in realtà ci sfuggiva. Davvero Genova antica non finisce di stupire!
Il coltello a lama mobile fu sempre arma popolare: a causa dell’ingombro limitato e del costo ridotto, e a causa delle discriminazioni sociali o legali che riservavano il porto delle armi bianche lunghe ai soli nobili. Il “fenomeno” divenne macroscopico quando le autorità decisero, invocando ragioni di pubblica sicurezza, che il popolo non potesse portare armi. Ma, nel caso dei coltelli, divenne arduo stabilire il limite oltre il quale cessavano di essere utensili e diventavano armi, né dall’altra parte il popolo poteva rinunciare, oltre che a un utensile di indubbia utilità, a un’arma da difesa cui si era ormai abituato. Ne seguì una lunga diatriba che vide l’autorità impegnata a proibire le lame eccedenti una certa lunghezza e il popolo industriarsi per forgiare lame sempre più corte, ma di fogge all’occorrenza estremamente pericolose. Come quelle a foglia di salvia, veri pugnali larghi e a doppio taglio, o quelle a foglia di olivo, strette e molto acuminate. Un tipico esempio fu il coltello “alla genovese” che ebbe larga diffusione nell’Italia del XVII secolo e che in pratica riprendeva la spada “alla frantopino” bandita in numerosi Paesi d’Europa per l’insidiosità. Il coltello aveva un’impugnatura in legno o corno e una lama larga al tallone, che si assottigliava decisamente nel debole a formare uno stiletto a quattro facce con punta acutissima. Venne bandito anch’esso, ma poi riprese forma con una cruna che attraversava la punta e destinazione d’uso – ufficiale – di strumento da sellaio. Poteva perciò essere portato da chiunque dal momento che il cavallo era l’abituale mezzo di locomozione. In Italia i centri di produzione di coltelli, soprattutto a lama mobile, a causa della frammentazione politica del Paese e anche della scarsa circolazione dei prodotti, furono numerosi e ognuno creò proprie tipologie. La ricchezza di forme “italiane” non trova riscontro in altri Paesi europei, sia per il coltello con caratteristiche offensive sia per quello inteso come strumento di uso quotidiano. La scherma di daga e stiletto, insegnata dai maestri d’armi nel periodo che andava dal XIV secolo all’XIX, nel XVII secolo condizionò la creazione di metodi di maneggio che poi si svilupparono in un’arte raffinata ed efficace, continuando poi a evolversi nei miglioramenti sino ai primi decenni del XX secolo. Le regioni del nord Italia, in parte quelle centrali, alcune meridionali e insulari, erano prive di maestri, ma esistevano persone che possedevano solo la conoscenza di poche, definitive, azioni tecniche. L’apprendimento di tali tecniche era detenuto sia dalla malavita, sia dalla normale popolazione. Lo sviluppo di una vera arte di maneggio del coltello si verificò invece in sei regioni: Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Corsica. Nelle scuole (ovviamente clandestine) dove s’insegnava ad adoperare il coltello, si seguiva un preciso metodo diverso da regione a regione. Spesso poi gli allievi elaboravano nuove interpretazioni delle azioni tecniche che differivano da quelle dei maestri e capiscuola. Accadeva così che in una stessa città o cittadina, oltre a uno o due metodi principali, ve ne potevano essere altri “contaminati”. Il ritardo, rispetto a vari altri Paesi europei, nel passaggio all’industrializzazione (o almeno a una produzione semi-industriale) nel settore della coltelleria, ha consentito una più lunga sopravvivenza di tipologie legate alla fabbricazione artigianale. I centri di produzione ancora attivi sono Maniago (Pn), sicuramente il più fertile oggi (ma quasi privo di connotazioni tradizionali), nato intorno al 1400, Premana (Co), specializzato soprattutto nelle forbici, Scarperia (Fi), che risale al 1400 fin da principio con la coltelleria, i cosiddetti “ferri taglienti”, Campobasso e Frosolone (Is), anch’essi molto antichi, Pattada (Ss), molto più recente (fine XIX secolo)”.
CARLO GATTI
Rapallo, Mercoledì, 11 Dicembre 2019