IL TEMPERINO E IL TONNO
Una volta un temperino cadde in mare dall’astuccio di un bambino svogliato che faceva i compiti delle vacanze. Plof, plof, plof, che strano ambiente e che strani personaggi: tutti viaggiavano in orizzontale.
Il temperino era un tipo molto attivo e baldanzoso e, non trovando matite si rivolse ad una acciuga: «Ciao, hai la coda un po’ larga, vuoi che te la temperi?». «Ma cosa dici?» borbottò quella «io sono bella affusolata». E fuggì via con un guizzo. Ondeggiando, ondeggiando, il temperino si posò sul fondo sabbioso dove riposava una magnifica sogliola. «Come sei piatta, che ne diresti di un temperatina alla coda?». «No, No», rispose la sogliola insabbiandosi. «Uffa, che noia!», pensò il temperino, «qui mi arrugginisco». Venne la sera, venne lo scirocco che portò con sé potenti onde: una, compatta e maestosa, si arrotolò su se stessa e precipitò sul fondo con la forza di mille schiaffi. Il temperino si era quasi assopito, quando si sentì sollevare, capovolgere, trasportare con tanta irruenza da non distinguere più né il sopra né il sotto. Dopo un’altalena che gli parve eterna andò a sbattere contro uno scoglio tra le cui fessure si nascondeva una triglia tutta rossa e impaurita, che dimenava la coda per non farsi portare via. «Posso rendermi utile?» strillò il temperino ancora un po’ intontito. «Se ti fai temperare la coda, questa si allunga e ti serve meglio». «No, si assottiglia e non mi serve più». «No, si allunga». «No, si assottiglia». Il battibecco finì presto, perché un’altra ondata strappò il povero temperino dal suo rifugio e se lo portò in alto mare.
Il poveretto fece appena in tempo a capire dov’era, che si vide davanti un tonnetto vivace ed affamato, con la bocca spalancata, pronto ad ingoiarlo. «No, ti prego, non mi mangiare, sono indigesto! Ti posso rendere un servizio eccezionale: guarda che coda hai, così non si usa più, lasciatela temperare, vedrai come sarai elegante». Il tonno inesperto e vanitoso acconsentì e il temperino si mise al lavoro di buona lena. «Ahi, mi fai male!», urlò il tonno. «Chi bello vuole apparire, deve soffrire», replicò il temperino continuando a lavorare. «Ecco fatto», esclamò soddisfatto il temperino, «sei bellissimo».
Il tonno cercò di voltarsi per guardarsi la coda, ma non ci, riuscì e, visto che nei dintorni non c’erano specchi, dovette fidarsi delle parole del temperino. Era ancora dolorante, ma incominciò a muoversi incontro ad altri pesci per sentire i loro commenti. Che disastro! Si dava un gran daffare con le pinne, ma non riusciva più a dirigersi dove voleva: la coda temperata non funzionava come la precedente. «Aiuto, aiuto», cominciò a lamentarsi. «Mamma mia, aiuto! Come farò a raggiungere i miei compagni?». Più si dimenava e più girava su se stesso come una trottola. Il tonno era ormai esausto e disperato, quando Nettuno, il dio dei pesci e del mare, udì le sue implorazioni. «Chi mi disturba a quest’’ora?» gridò con voce di tuono, «ah, sei tu piccolo incosciente, cos’hai combinato?». «Io veramente niente… è stato il temperino, mi ha detto che la mia coda era fuori moda, allora io… ». «Ma bene, bravo, non ti piaceva la tua coda, ora tieniti quella nuova, servirai da esempio agli altri sciocchi come te». «No, ti prego» pianse umilmente il piccolo tonno, «potente dio di tutti i pesci, aiutami non lo farò più». «D’accordo», rispose Nettuno impietosito, «ora ti toccherò con il mio magico scettro e ritornerai come prima, ma ricordati: con la natura non si scherza, altrimenti sono guai». E mentre con la mano destra ricomponeva la coda del tonno, con la sinistra Nettuno scagliò il temperino fuori dal mare, perché non facesse altre stupidaggini. Così il temperino tornò nell’astuccio di Claudio a compiere il lavoro al quale era stato destinato.
ADA BOTTINI
Rapallo, 22 novembre 2016